sabato 31 gennaio 2009

Conversazioni di bioetica.

Ci ho pensato e ripensato, ho rimandato più volte, indecisa, alla fine ho stabilito di scrivere la mia opinione sul caso Englaro. Non è facile entrare in un tema così delicato e intimo, un dramma talmente privato, che in un primo tempo mi ha fatto guardare con sospetto al grande clamore mediatico suscitato dalla decisione del padre di rivolgersi alla giustizia. Pensavo che scriverci un libro, concedere interviste e parlarne fosse in contraddizione col dolore interiore che un padre vive in tale circostanza. Poi ho valutato le cose da un altro punto di vista. L'iter giudiziario seguito da questo padre coraggioso è un modo di combattere una battaglia che se vinta darà una risposta e forse sollievo a tanti altri in situazioni analoghe.
Non riassumerò le ultime svolte che ormai sono riportate ampliamente da ogni giornale: di fatto la sentenza non può essere attuata per le forme di ricatto finanziario volte dal governo alle cliniche disponibili al ricovero della Englaro.
Opinioni diverse si alzano da pensatori ed esponenti politici e cattolici in difesa della vita, anche qualora vegetativa, e da altri che invece ritengono crudele un accanimento terapeutico senza fine, e senza speranze di miglioramenti.
Gli uni dicono essenzialmente che l'alimentazione forzata non è una cura, quindi non si tratta di accanimento terapeutico, ma di sostentamento ad una persona gravemente disabile, gli altri che al contrario l'atto di alimentare e idratare con sondini, e quindi con interventi invasivi medicali, una persona priva delle capacità di risposta alle più semplici sollecitazioni, sia da intendersi come terapia. In effetti la differenza è assai piccola e difficile da discriminare con un taglio netto.
Anche la polemica su quanto lo stato vegetativo permanente si possa differenziare da coma irreversibile, morte cerebrale e altre gravi forme di stato di incoscienza, lasciano un profano della materia in un profondo stato di dubbio.
Alcuni si domandano se è più crudele far morire di fame e sete una persona che non si può alimentare e non può esprimersi, oppure aspettare che sopravvenga una inesorabile fine per le inevitabili complicazioni dopo una lentissima agonia (che dura già da 17 anni). Come soggetto singolo se mi pongo queste domande, non so sinceramente trovare una risposta, ma per fortuna la risposta non è chiesta a me, o ad altri come me. C'è stata una richiesta della famiglia della persona interessata, portavoce di una sua precisa volontà, e una sentenza che ha giudicato dopo aver preso atto di tutte le condizioni e i problematici interrogativi del caso, e sicuramente dopo aver raccolto le informazioni molto dettagliate sulla materia.
Perchè dobbiamo per forza farne un ennesimo pretesto di polemiche e strumentalizzazioni politiche? E per politiche intendo anche quelle cattoliche-ecclesiastiche. Perchè farne una specie di referendum popolare vita si-vita no? Su alcuni temi, e so che nel dire questo posso essere mal giudicata, penso che la vox populi debba tacere. Non approvo fare conversazione sui forum e nei salotti di questioni etiche così delicate, per questo finora ho evitato questo argomento. Non sempre abbiamo diritto di esprimere opinioni a braccio senza una profonda conoscenza di quello di cui si parla.

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