domenica 17 luglio 2011

Cum grano salis.

Leggo oggi sull'Espresso l'intervista con il famoso cuoco, anzi dovrei dire chef,  Ferran Adrià, che chiuderà il mitico ristorante spagnolo,"El Bulli" questo 31 luglio.
All'intervistatore, che lo ha beccato mentre con il suo staff cenava, prima di servire i clienti, dato che la cena era costituita da spaghetti alla bolognese, hamburger e patatine, e non dalle sue creazioni, quali  spume e schiume, sindoni di bistecche su ostie di parmigiano, zuppe gelate all'azoto liquido, ha detto, per giustificarsi, che la cucina di casa serve a nutrirsi, mentre quella del suo ristorante per fare un'esperienza. Indimenticabile, dice qualcuno, anche per il prezzo, poco più di 300 €, sempre che si abbia la costanza e la fortuna di attendere anche per un anno la prenotazione.
Insomma come dire che a casa mia decoro le pareti con dei quadri croste, come riempitivo, invece vado al museo ad ammirare i "Tagli" di Fontana per avere il brivido dell'arte moderna. Personalmente preferisco gli Uffizi.
Non c'è nulla da obiettare, il ragionamento potrebbe anche funzionare, ma io, devo ammetterlo, sono un po' prevenuta nei confronti di questi "chef", sarà perché, da quando sono abbonata a Sky, in seconda serata guardo spesso il "Gambero Rosso", alla ricerca di nuove ricette e di località amene dal punto di vista gastronomico. Non che i canali TV siano carenti di ricette, cuochi e preparazioni culinarie, anzi! Ormai non c'è programma che non abbia il suo bravo angolo cottura, con consigli alimentari e dietetici. Pare che per anni, dovendo farne a meno, le nostre mamme e nonne (e famiglie) morissero di fame.
Bisogna dire che gli chef sono davvero diventati dei "divi", se la tirano in modo pazzesco, parlano un linguaggio in codice: territorio, tradizione, rivisitazione, ricerca del gusto....
E poi mentre spignattano in diretta, circondati da aggeggi tecnologici, dai nomi assurdi, planetarie, abbattitori, cannelli di fiamma simil-ossidrica, termometri digitali, insomma tutte cose che una pur moderna cuciniera come me, si sogna, intanto parlano e spiegano, con terminologia molto tecnica, come si sfiletta un branzino, si caramella un pomodoro ciliegino, si emulsiona una salsa, si fa un fumetto di pesce.
Sono spesso affiancati da un aiutante dall'aria stolida, che sta lì per porgere un cucchiaio, come fa' l'infermiera col bisturi al chirurgo, oppure a pelar le patate, oppure anche solo a far da contorno ciarliero.
Alla fine "impiattano", con questo bruttissimo termine coniato per loro, che ora è anche sul vocabolario, cioè vuol dire che non si serve più la pietanza a tavola, prendendola da un vassoio di servizio, ma si  IMPIATTA direttamente sulla stoviglia che si porta al commensale, in maniera molto elegante, badando bene che vengano soddisfatte alcune regole  fondamentali della cucina moderna: gli alimenti devono essere sovrapposti a formare una torretta, tanto più alta quanto più bravo il cuoco.
L'elegante e precaria costruzione di cibo viene impilata con un ordine preciso, a mani nude (mi auguro lavate), cioè cose croccanti, poi morbide, poi succose, poi piccanti, poi dolci, infine salate e in bilico in cima un cappero (mi raccomando dissalato e siciliano) o una foglia di menta, (il prezzemolo è obsoleto),  affinchè il commensale al primo boccone così composto, abbia una girandola e un esplosione di sensazioni contrastanti.
Dimenticavo: sul piatto viene in precedenza colata una qualche salsa, a specchio, che niente e nessuno potrai mai gustare, essendo costituita da un velo di liquido, assolutamente non raccoglibile e non avendo il degustatore, ovviamente, modo né mezzi per fare volgari "scarpette".
Eventualmente molti altri decori non commestibili (bucce di melanzana disidratate, pezzetti di lardo di colonnata carbonizzato, polvere di uovo liofilizzato, fiori di campo, etc) potranno essere disposti artisticamente in modo da soddisfare l'occhio. Il tutto richiede anche per uno chef-speedy almeno 10 minuti.
Se volete cimentarvi e stupire gli ospiti, dovete innazitutto attrezzarvi con tutte quelle diavolerie tecnologiche ormai indispensabili in cucina, compresi gli stampi in silicone e dei particolari anelli in acciaio per "coppare", altro termine neo coniato ad usum chef. Poi mettevi al lavoro, di buona lena e calcolate di impiegare almeno 8 ore per quello che avrete visto preparare in 20 minuti. Infine quando sarà ora di servire e avrete finito di impiattare e decorare per 6 persone, le pietanze portate in tavola saranno ormai fredde scotte e disgustose...ma l'occhio sarà appagatissimo.
Qualcuno penserà che ho esagerato e calcato la mano...ma giuro che quanto esposto è tutto rigorosamente VERO!
Sarà per reazione, o sarà nostalgia, non so, ma ho cominciato a riscrivere le ricette che la mia mamma mi ha lasciato, vergate a mano su un quadernetto, o ripescate nella memoria.

sabato 2 luglio 2011

Un paio di gialli per l'estate.

Non so perché ma in estate, benché ormai io sia in ferie tutto l'anno, non riesco ad occuparmi di cose serie.
Anche nella lettura prediligo romanzi leggeri, quelli che posso tralasciare un momento, mentre sono in giardino e mi "scappa" di togliere un erbaccia o cogliere 2 fiori, e poi posso riprenderli senza troppa fatica e senza dovere tornare indietro per capirci qualcosa.
Mi sto dedicando a due autori di gialli prediletti: Camilleri e Veit Heinichen. Del primo sto leggendo l'ultimo libro "Gioco di Specchi", mentre del secondo ho appena terminato " Le lunghe ombre della morte".
Passando da questo a quello nel giro di una settimana il paragone diventa inevitabile, e lo scrittore tedesco ci perde assai.
Cominciamo dalle cose in comune: c'è un commissario protagonista; tutti conoscono Montalbano, ma forse pochi Proteo Laurenti, il poliziotto di origini meridionali,  residente a Trieste dove si svolgono le sue indagini.
Entrambe gli investigatori sono sulla cinquantina, amano il buon cibo e non disdegnano di sbevazzare, abitano in invidiabili residenze sul mare, e apprezzano forse troppo le femmine di bell'aspetto, il che li rende piuttosto inclini all'infedeltà verso le loro compagne. Oltre naturalmente al fiuto poliziesco che li indirizza sempre sulla giusta pista, hanno anche validi collaboratori, ed un leggero manto d'ironia investe le loro avventure. Le analogie finiscono qui.
Dalla parte di Proteo, soprattutto per me, di apprezzabile c'è la realistica descrizione di Trieste e dintorni, non solo, ma anche gli avvenimenti e i personaggi storici e di spicco della città sono reali. Nei luoghi mi ci ritrovo con estrema precisione, dal tram di Opicina, ai bar, alle località oltre confine, alla trattoria Scabar, dove anche i piatti descritti sono veri (li ho mangiati!).
Per quanto riguarda la scrittura sono imparagonabili, l'una è una traduzione dal tedesco, mentre l'altra è l'impagabile prosa italo-sicula di Camilleri. Il suo vocabolario è così ricco e colorito, che per giorni continuano a "firriarmi" in testa i termini usati nel libro. Non a caso il linguaggio dell'autore siciliano è diventato materia di tesi.
 Ma non è solo questo a rendere superiore Montalbano, c'è anche la vera e propria trama gialla, chiara, lineare quella intessuta da Camilleri, che comunque tiene il lettore sul filo del rasoio con pochi semplici colpi di scena, fino ad un finale risolutivo, a volte amaro, a volte con una morale.
Invece Heinichen scrive con stile cinematografico, con molta azione, ma tende a mettere troppa carne al fuoco, troppe vicende collaterali che poi non hanno riscontro, molte vie che non portano a nulla, e insomma il finale  lascia perplessi e ci si chiede che cosa sia successo ad alcuni personaggi scomparsi in corso d'opera.
Entrambe sono piacevoli letture da "sotto ombrellone", ma il nostro Camilleri ha quel quid in più che ci lascia in bocca il "sciauro" dei suoi arancini.