sabato 5 maggio 2012

Dialogando del meno.

Dialogo e dialetto hanno la stessa radice dal greco  διαλέγομαι (dialegomai cioè conversare).
Nella autorevole enciclopedia Treccani alla voce dialetto trovo la seguente definizione: Sistema linguistico di ambito culturale e geografico limitato che non ha raggiunto, o ha perduto, autonomia e prestigio di fronte a un altro sistema divenuto dominante e riconosciuto come ufficiale.
Cercando su altra fonte, ad esempio vocabolario di italiano Garzanti ho quest'altra spiegazione:
 Parlata propria di una determinata area geografica, a cui si contrappone la lingua ufficiale o nazionale.
Più stringata la seconda definizione, ma il succo è quello, e queste sono due ottime ragioni per ritenere assurda la recente misura del consiglio provinciale di Gorizia di fare assurgere i dialetti "bisiàco"  e "gradese" al grado di idiomi storici e quindi meritevoli di ufficialità.  Tale ufficialità si concretizzerà quanto prima, come si legge nella cronaca  locale, nella traduzione dei cartelli stradali con le denominazioni in "lingua" dei paesi e città del luogo.
Sarà veramente interessante scoprire come e se ci sarà anche un evoluzione del cartello man mano che la strada si avvicina ad una o l'altra cittadina ove l'idioma cambia. Per esempio se a Monfalcone leggerò sull'indicazione per la nota località balneare di Grado la dicitura "GRAVO", a pochi km dalla suddetta, variando l'idioma da bisiaco in gradese, potrò leggere GRAO.
Saranno cavoli del turista austriaco procurarsi i vocabolarietti con le traduzioni all'uopo.
Sono sconcertata da queste scelte, lasciando perdere le ragioni economiche di una tale misura in tempi di crisi, non certo urgente, poi anche per l'economia, perché sapere che invece di una pista ciclabile o un miglioramento dei servizi, si spendono le misere risorse (magari derivanti dall'IMU) per dei cartelli "bilingui",  mi indigna.
Ritorno su questo argomento che ho già affrontato parecchi anni fa nei vecchi post1 e post2 , perché le giunte cambiano, così pure i colori politici, ma resta la stessa non cultura di fare sottocultura con la demagogia inutile e becera.
Nell'articolo de "Il Piccolo" da cui ho tratto la ferale notizia, si dice anche: "mal di pancia dei sostenitori del friulano e sloveno (le altre lingue minoritarie già riconosciute, nota mia) per le risorse che verranno loro sottratte". Bella l'affermazione di un consigliere che alle perplessità sollevate da altri colleghi così si è espresso: "Non si sogni la regione di impugnare la delibera, cos'ha in più il friulano rispetto al bisiàco?"  Verissimo e sacrosanto, e aggiungo anche, rispetto ad altri dialetti e idiomi parlati in Friuli: triestino, udinese, istro-veneto e koiné giuliana? Così pure se ci allarghiamo alle altre regioni italiane, insomma una giungla di linguaggi dalle mille sfumature.  A questo punto il "dialogo", a dispetto della sua radice etimologica, tra corregionali e vicini di casa diventa difficile se non impossibile.
Ma tu, mi si dirà, come già mi è stato detto, sei contraria ai dialetti e a preservare una tradizione linguistica e letteraria. Ma no, rispondo, assolutamente no! E ribadisco non sono contraria alla diffusione del dialetto in associazioni culturali, poesie in vernacolo, commedie dialettali, e neppure a scuola, se non si ha la pretesa di metterlo come insegnamento obbligatorio, come ho appreso qualche giorno fa. Ma sono contrarissima all'interprete friulo-italico assunto nei comuni per fare da traduttore simultaneo nella pubblica amministrazione, e alle delibere e ai bandi tradotti, oppure alla non so se ridicola o patetica "Recita della Santa Messa in friulano", a meno che non la si viva in chiave folcloristica.
Lo sciovinista "frìulo" che mi leggesse, sicuramente potrebbe rimbrottarmi, mi direbbe che il Friulano è una vera e propria lingua, come dimostrato...da che? Eccoci al punto infatti, da che e che cosa? Da qualche linguista e filologo friulanista che ha cercato di raccogliere e organizzare regole di grammatica e fonetica, e di dimostrare che esiste una base socio storico culturale per definire lingua questo dialetto. Ma io contesto che se una lingua non è sufficientemente diffusa e parlata e scritta correntemente in un territorio geograficamente e politicamente definito, non si può chiamare tale. Proprio a difesa di questa mia tesi prendo l'esempio dello sloveno. Questa lingua minoritaria, che ai tempi della ex-yugoslavia stava perdendo ufficialità a scapito della lingua serba parlata nella capitale Beograd, quando la slovenia ha ottenuto l'indipendenza è tornata la lingua ufficiale di Lubiana e dello stato Slovenia. 
Si può argomentare quanto si vuole, ma fino a che Friuli, Monfalcone e bisiacheria non saranno stati liberi e indipendenti, ma rimangono ITALIA, piaccia o meno, la lingua unica è e resterà solo l'italiano.