Riprendo a scrivere sul blog dopo lunga assenza, perché improvvisamente, dopo più di 40 anni di residenza a Trieste, mi sono accorta di quante particolarità uniche abbia questa città. Meglio tardi..che mai.
Vorrei fare un excursus su tali prerogative, anche se ovviamente ogni città, come ogni individuo, ha le sue caratteristiche particolari e irripetibili.
Trattasi di un terreno scivoloso, vorrei premettere che non essendo autoctona, mi sfuggiranno molte cose, forse, anzi sicuramente, sarò imprecisa, per cui se qualche triestino mi leggerà è invitato caldamente ad apporre note e correzioni.
Una ulteriore premessa al discorso riguarda la mia situazione di "non appartenenza". Può essere un vantaggio o uno svantaggio. Figlia di un marchigiano e una toscana, nata a Vercelli e trapiantata qui, si potrebbe pensare che non ho radici, non ho un dialetto in cui riconoscermi, e sono quindi svincolata e scettica di fronte a tradizioni e orgoglio locale. Un po' è vero, soprattutto sono allergica ai campanilismi, però guardando da altra prospettiva si può dire che ho una cultura multi-regionale e mi riconosco in molte radici...Apprezzo la parlata toscana, e amo ricordare le espressioni in gergo di mia mamma e di mia nonna. Sento "mie" molte tradizioni piemontesi, che sono legate alla mia infanzia e adolescenza, ho i caratteri psicosomatici marchigiani, e infine amo molto questa città dove vivo, che mi ha accolto con grande ospitalità.
Da dove cominciare? Potrei fare un elenco in ordine alfabetico, oppure, ed è ciò che farò, man mano che mi capita una chicca a portata di mano la affronterò.
Oggi parlerò del mitico stabilimento balneare "La lanterna" ovvero, come lo chiamano qui, il bagno "Pedocin".
Lo spunto mi nasce da questo articolo comparso pochi giorni fa sul giornale locale, che riguarda la protesta degli abitué dello stabilimento per la ventilata chiusura invernale dello stesso.
Già pare strano che ci sia ancora in pieno centro città uno stabilimento balneare funzionante, a questo aggiungiamo poi la stranezza di essere unico in europa (o forse al mondo) con settori divisi da un alto muro di 3 metri che separa la zona uomini da zona donne. Infine oggi apprendo che è aperto anche d'inverno e come è noto, qui la temperatura invernale non è certo caraibica.
A cosa è dovuta questa unicità tipicamente triestina? Sicuramente alle sue eccezionali frequentatrici: le "babe" (signore) triestine, in questo caso la sottospecie di baba "sariandola" ossia lucertola, per la sua irresistibile propensione a stare al sole, estate e inverno, con la bora o col solleone, fino ad assumere un colore cuoio scuro ed una consistenza della pelle molto simile al rettile da cui prende il nome.
Le babe sariandole, che qualche anno fa' non esitarono a scendere in piazza dell'Unità, in costume da bagno per difendere la permanenza di questa istituzione, tanto più gradita in quanto anche molto economica (l'entrata giornaliera costa infatti solo 1 euro), sono le più accanite sostenitrici di questa divisione dei sessi, "Cussì stemo en pase, senza òmini". Ma anche per prendere il sole integralmente, al riparo da occhiate indiscrete.
Ricordo che ai tempi del lavoro, quando finalmente potevo prepararmi a tornare a casa, dove l'altra metà della faticosa giornata mi attendeva con le faccende domestiche in sospeso, spesso nello spogliatoio incontravo qualche signora, anch'essa in procinto di lasciare il lavoro, ma con la borsa da mare già pronta e il costume già indossato, che annunciava: " Mi vado al bagno, qualcun vien con mi?"
"Al bagno" precisazione indispensabile, non vuol dire quello che nel resto d'italia si intende, cioè vado "IN" bagno, bensì vado a prendere i bagni di sole o di acqua marina. Eh beate loro, le babe, pensavo tra me, magari quando sarò in pensione, farò anch'io così.
Invece, benché in pensione non posso, principalmente non posso perché ho un coniuge e sono abituata a condividere tutto con lui. Certo non si muore se un giorno si sta divisi, uno di qua e l'altra di là dal muro, e poi ci si può incontrare in acqua. Ma che volete, dopo quasi 40 anni di convivenza non siamo più capaci di divertirci separatamente. Così a meno che il mio maritino non cali di statura fin sotto il metro (forse), o appaia inferiore ai 12 anni di età (difficile) non potrà accedere con me al settore donne. Né io del resto, a meno che non faccia qualche operazione a Casablanca, non potrò godere della sua compagnia nel settore "uomini". Questa è la zona poi a quanto pare molto meno affollata e quindi sicuramente più appetibile, nei giorni di canicola.
Non avremo la gioia e il privilegio di visitare questo luogo reminiscenza diretta dell'Austria teresiana. Pazienza! Ci consoleremo con il tour virtuale del "bagno" in uno dei link che elenco qui, o qui a favore anche di chi vuole approfondire.
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venerdì 2 novembre 2012
sabato 5 maggio 2012
Dialogando del meno.
Dialogo e dialetto hanno la stessa radice dal greco διαλέγομαι (dialegomai cioè conversare).
Nella autorevole enciclopedia Treccani alla voce dialetto trovo la seguente definizione: Sistema linguistico di ambito culturale e geografico limitato che non ha raggiunto, o ha perduto, autonomia e prestigio di fronte a un altro sistema divenuto dominante e riconosciuto come ufficiale.
Cercando su altra fonte, ad esempio vocabolario di italiano Garzanti ho quest'altra spiegazione:
Parlata propria di una determinata area geografica, a cui si contrappone la lingua ufficiale o nazionale.
Più stringata la seconda definizione, ma il succo è quello, e queste sono due ottime ragioni per ritenere assurda la recente misura del consiglio provinciale di Gorizia di fare assurgere i dialetti "bisiàco" e "gradese" al grado di idiomi storici e quindi meritevoli di ufficialità. Tale ufficialità si concretizzerà quanto prima, come si legge nella cronaca locale, nella traduzione dei cartelli stradali con le denominazioni in "lingua" dei paesi e città del luogo.
Sarà veramente interessante scoprire come e se ci sarà anche un evoluzione del cartello man mano che la strada si avvicina ad una o l'altra cittadina ove l'idioma cambia. Per esempio se a Monfalcone leggerò sull'indicazione per la nota località balneare di Grado la dicitura "GRAVO", a pochi km dalla suddetta, variando l'idioma da bisiaco in gradese, potrò leggere GRAO.
Saranno cavoli del turista austriaco procurarsi i vocabolarietti con le traduzioni all'uopo.
Sono sconcertata da queste scelte, lasciando perdere le ragioni economiche di una tale misura in tempi di crisi, non certo urgente, poi anche per l'economia, perché sapere che invece di una pista ciclabile o un miglioramento dei servizi, si spendono le misere risorse (magari derivanti dall'IMU) per dei cartelli "bilingui", mi indigna.
Ritorno su questo argomento che ho già affrontato parecchi anni fa nei vecchi post1 e post2 , perché le giunte cambiano, così pure i colori politici, ma resta la stessa non cultura di fare sottocultura con la demagogia inutile e becera.
Nell'articolo de "Il Piccolo" da cui ho tratto la ferale notizia, si dice anche: "mal di pancia dei sostenitori del friulano e sloveno (le altre lingue minoritarie già riconosciute, nota mia) per le risorse che verranno loro sottratte". Bella l'affermazione di un consigliere che alle perplessità sollevate da altri colleghi così si è espresso: "Non si sogni la regione di impugnare la delibera, cos'ha in più il friulano rispetto al bisiàco?" Verissimo e sacrosanto, e aggiungo anche, rispetto ad altri dialetti e idiomi parlati in Friuli: triestino, udinese, istro-veneto e koiné giuliana? Così pure se ci allarghiamo alle altre regioni italiane, insomma una giungla di linguaggi dalle mille sfumature. A questo punto il "dialogo", a dispetto della sua radice etimologica, tra corregionali e vicini di casa diventa difficile se non impossibile.
Ma tu, mi si dirà, come già mi è stato detto, sei contraria ai dialetti e a preservare una tradizione linguistica e letteraria. Ma no, rispondo, assolutamente no! E ribadisco non sono contraria alla diffusione del dialetto in associazioni culturali, poesie in vernacolo, commedie dialettali, e neppure a scuola, se non si ha la pretesa di metterlo come insegnamento obbligatorio, come ho appreso qualche giorno fa. Ma sono contrarissima all'interprete friulo-italico assunto nei comuni per fare da traduttore simultaneo nella pubblica amministrazione, e alle delibere e ai bandi tradotti, oppure alla non so se ridicola o patetica "Recita della Santa Messa in friulano", a meno che non la si viva in chiave folcloristica.
Lo sciovinista "frìulo" che mi leggesse, sicuramente potrebbe rimbrottarmi, mi direbbe che il Friulano è una vera e propria lingua, come dimostrato...da che? Eccoci al punto infatti, da che e che cosa? Da qualche linguista e filologo friulanista che ha cercato di raccogliere e organizzare regole di grammatica e fonetica, e di dimostrare che esiste una base socio storico culturale per definire lingua questo dialetto. Ma io contesto che se una lingua non è sufficientemente diffusa e parlata e scritta correntemente in un territorio geograficamente e politicamente definito, non si può chiamare tale. Proprio a difesa di questa mia tesi prendo l'esempio dello sloveno. Questa lingua minoritaria, che ai tempi della ex-yugoslavia stava perdendo ufficialità a scapito della lingua serba parlata nella capitale Beograd, quando la slovenia ha ottenuto l'indipendenza è tornata la lingua ufficiale di Lubiana e dello stato Slovenia.
Si può argomentare quanto si vuole, ma fino a che Friuli, Monfalcone e bisiacheria non saranno stati liberi e indipendenti, ma rimangono ITALIA, piaccia o meno, la lingua unica è e resterà solo l'italiano.
Nella autorevole enciclopedia Treccani alla voce dialetto trovo la seguente definizione: Sistema linguistico di ambito culturale e geografico limitato che non ha raggiunto, o ha perduto, autonomia e prestigio di fronte a un altro sistema divenuto dominante e riconosciuto come ufficiale.
Cercando su altra fonte, ad esempio vocabolario di italiano Garzanti ho quest'altra spiegazione:
Parlata propria di una determinata area geografica, a cui si contrappone la lingua ufficiale o nazionale.
Più stringata la seconda definizione, ma il succo è quello, e queste sono due ottime ragioni per ritenere assurda la recente misura del consiglio provinciale di Gorizia di fare assurgere i dialetti "bisiàco" e "gradese" al grado di idiomi storici e quindi meritevoli di ufficialità. Tale ufficialità si concretizzerà quanto prima, come si legge nella cronaca locale, nella traduzione dei cartelli stradali con le denominazioni in "lingua" dei paesi e città del luogo.
Sarà veramente interessante scoprire come e se ci sarà anche un evoluzione del cartello man mano che la strada si avvicina ad una o l'altra cittadina ove l'idioma cambia. Per esempio se a Monfalcone leggerò sull'indicazione per la nota località balneare di Grado la dicitura "GRAVO", a pochi km dalla suddetta, variando l'idioma da bisiaco in gradese, potrò leggere GRAO.
Saranno cavoli del turista austriaco procurarsi i vocabolarietti con le traduzioni all'uopo.
Sono sconcertata da queste scelte, lasciando perdere le ragioni economiche di una tale misura in tempi di crisi, non certo urgente, poi anche per l'economia, perché sapere che invece di una pista ciclabile o un miglioramento dei servizi, si spendono le misere risorse (magari derivanti dall'IMU) per dei cartelli "bilingui", mi indigna.
Ritorno su questo argomento che ho già affrontato parecchi anni fa nei vecchi post1 e post2 , perché le giunte cambiano, così pure i colori politici, ma resta la stessa non cultura di fare sottocultura con la demagogia inutile e becera.
Nell'articolo de "Il Piccolo" da cui ho tratto la ferale notizia, si dice anche: "mal di pancia dei sostenitori del friulano e sloveno (le altre lingue minoritarie già riconosciute, nota mia) per le risorse che verranno loro sottratte". Bella l'affermazione di un consigliere che alle perplessità sollevate da altri colleghi così si è espresso: "Non si sogni la regione di impugnare la delibera, cos'ha in più il friulano rispetto al bisiàco?" Verissimo e sacrosanto, e aggiungo anche, rispetto ad altri dialetti e idiomi parlati in Friuli: triestino, udinese, istro-veneto e koiné giuliana? Così pure se ci allarghiamo alle altre regioni italiane, insomma una giungla di linguaggi dalle mille sfumature. A questo punto il "dialogo", a dispetto della sua radice etimologica, tra corregionali e vicini di casa diventa difficile se non impossibile.
Ma tu, mi si dirà, come già mi è stato detto, sei contraria ai dialetti e a preservare una tradizione linguistica e letteraria. Ma no, rispondo, assolutamente no! E ribadisco non sono contraria alla diffusione del dialetto in associazioni culturali, poesie in vernacolo, commedie dialettali, e neppure a scuola, se non si ha la pretesa di metterlo come insegnamento obbligatorio, come ho appreso qualche giorno fa. Ma sono contrarissima all'interprete friulo-italico assunto nei comuni per fare da traduttore simultaneo nella pubblica amministrazione, e alle delibere e ai bandi tradotti, oppure alla non so se ridicola o patetica "Recita della Santa Messa in friulano", a meno che non la si viva in chiave folcloristica.
Lo sciovinista "frìulo" che mi leggesse, sicuramente potrebbe rimbrottarmi, mi direbbe che il Friulano è una vera e propria lingua, come dimostrato...da che? Eccoci al punto infatti, da che e che cosa? Da qualche linguista e filologo friulanista che ha cercato di raccogliere e organizzare regole di grammatica e fonetica, e di dimostrare che esiste una base socio storico culturale per definire lingua questo dialetto. Ma io contesto che se una lingua non è sufficientemente diffusa e parlata e scritta correntemente in un territorio geograficamente e politicamente definito, non si può chiamare tale. Proprio a difesa di questa mia tesi prendo l'esempio dello sloveno. Questa lingua minoritaria, che ai tempi della ex-yugoslavia stava perdendo ufficialità a scapito della lingua serba parlata nella capitale Beograd, quando la slovenia ha ottenuto l'indipendenza è tornata la lingua ufficiale di Lubiana e dello stato Slovenia.
Si può argomentare quanto si vuole, ma fino a che Friuli, Monfalcone e bisiacheria non saranno stati liberi e indipendenti, ma rimangono ITALIA, piaccia o meno, la lingua unica è e resterà solo l'italiano.
sabato 17 marzo 2012
Siamo uomini o..marziani?
Una delle ragioni per cui amo vivere qui, nella zona di confine carsica, oltre alle bellezze paesaggistiche ed ecologiche, è la possibilità di passare una giornata multietnica come oggi.
Vabbè multietnico, uso un parolone un tantino esagerato , ma il concetto è quello. La mattina abbiamo avuto a che fare con i tre fratelli kosovari che ci mettono a posto il giardino, poi abbiamo pranzato nella trattoria di Basovizza, dove il padrone croato ci ha intrattenuto raccontandoci gli usi e costumi dei suoi parenti di Slavonia, intanto che si degustava vino friulano. Infine abbiamo bevuto un caffè col nostro vicino di casa della minoranza di lingua slovena. Caffè fornitoci peraltro dall'altro vicino di casa di origine istriana, che ha una piccola torrefazione, mini (o micro o nano) concorrente di Illy, ma altrettanto buono.
Cose di cui meravigliarsi se si pensa che queste genti poco più di 15 anni fa' si combattevano, e ancora di più se guardiamo alla foiba poco lontano da qui.
Nel vivere quotidiano le differenze, se poi davvero esistono, si azzerano. Ricordo l'aneddoto raccontatomi da un mio amico dal nome che più ebreo non si può, che da giovincello si trovò in campeggio con un ragazzo palestinese. Non conoscevano le relative origini, e come spesso succede tra giovani in vacanza, fraternizzarono subito. Tra chiacchiere e divertimento, la simpatia fu tale che decisero di mantenersi in contatto anche dopo le vacanze..e come è d'uso si chiesero nomi e indirizzi. Impallidirono entrambi nello scoprire che uno era Mohamed e l'altro Samuel. Ma dopo un attimo di smarrimento scoppiarono a ridere e conclusero che se le decisioni per il medio-oriente le avessero dovute prendere loro le cose si sarebbero risolte prima, e meglio.
Penso che neppure il più duro e puro padano avrebbe da ridire se si trovasse a conversare con un vicino affabile e cortese, di qualsivoglia etnia. Non riesco a comprendere il rifiuto a priori di una persona, motivata solo dal fatto che proviene da un altro paese. E che dire poi di quelli che qui sono nati e magari parlano italiano o dialetto locale, meglio di noi, e si vedono rifiutare la nazionalità in quanto figli di extracomunitari?
Grazie alle frequentazioni internazionali di mia figlia ho avuto l'esperienza di parlare con persone nate e vissute in paesi molto diversi e lontani dall'Italia, come l'India o il Giappone, e vergognandomi un po', ho realizzato quanto fossero uguali i loro pensieri, paure, speranze alle nostre. Come è ovvio, infatti non sono marziani, non so proprio cosa potessi aspettarmi. Semmai qualcosa li diversifica da noi è a volte una maggiore apertura al nuovo e voglia di conoscere "l'altro".
Oggi l'oste croato (nell'accezione latina del termine) che ci ospitava cioè nella sua trattoria, ad un certo punto parlando di certe abitudini americane in contrapposizione alle nostre, ha detto, sorprendendomi "Noi europei...".
Certo, noi europei, in questo pezzo di globo relativamente piccolo, siamo un popolo con molte cose in comune. E poco tempo fa, una giovane gentile signora toscana, vedendomi in difficoltà nel fare le scale, mi ha offerto il braccio dicendo: "Si lasci aiutare, ovvia, siamo esseri umani!"
Ecco queste stille di buonsenso popolare hanno parecchio da insegnare nella loro lampante semplicità.
Vabbè multietnico, uso un parolone un tantino esagerato , ma il concetto è quello. La mattina abbiamo avuto a che fare con i tre fratelli kosovari che ci mettono a posto il giardino, poi abbiamo pranzato nella trattoria di Basovizza, dove il padrone croato ci ha intrattenuto raccontandoci gli usi e costumi dei suoi parenti di Slavonia, intanto che si degustava vino friulano. Infine abbiamo bevuto un caffè col nostro vicino di casa della minoranza di lingua slovena. Caffè fornitoci peraltro dall'altro vicino di casa di origine istriana, che ha una piccola torrefazione, mini (o micro o nano) concorrente di Illy, ma altrettanto buono.
Cose di cui meravigliarsi se si pensa che queste genti poco più di 15 anni fa' si combattevano, e ancora di più se guardiamo alla foiba poco lontano da qui.
Nel vivere quotidiano le differenze, se poi davvero esistono, si azzerano. Ricordo l'aneddoto raccontatomi da un mio amico dal nome che più ebreo non si può, che da giovincello si trovò in campeggio con un ragazzo palestinese. Non conoscevano le relative origini, e come spesso succede tra giovani in vacanza, fraternizzarono subito. Tra chiacchiere e divertimento, la simpatia fu tale che decisero di mantenersi in contatto anche dopo le vacanze..e come è d'uso si chiesero nomi e indirizzi. Impallidirono entrambi nello scoprire che uno era Mohamed e l'altro Samuel. Ma dopo un attimo di smarrimento scoppiarono a ridere e conclusero che se le decisioni per il medio-oriente le avessero dovute prendere loro le cose si sarebbero risolte prima, e meglio.
Penso che neppure il più duro e puro padano avrebbe da ridire se si trovasse a conversare con un vicino affabile e cortese, di qualsivoglia etnia. Non riesco a comprendere il rifiuto a priori di una persona, motivata solo dal fatto che proviene da un altro paese. E che dire poi di quelli che qui sono nati e magari parlano italiano o dialetto locale, meglio di noi, e si vedono rifiutare la nazionalità in quanto figli di extracomunitari?
Grazie alle frequentazioni internazionali di mia figlia ho avuto l'esperienza di parlare con persone nate e vissute in paesi molto diversi e lontani dall'Italia, come l'India o il Giappone, e vergognandomi un po', ho realizzato quanto fossero uguali i loro pensieri, paure, speranze alle nostre. Come è ovvio, infatti non sono marziani, non so proprio cosa potessi aspettarmi. Semmai qualcosa li diversifica da noi è a volte una maggiore apertura al nuovo e voglia di conoscere "l'altro".
Oggi l'oste croato (nell'accezione latina del termine) che ci ospitava cioè nella sua trattoria, ad un certo punto parlando di certe abitudini americane in contrapposizione alle nostre, ha detto, sorprendendomi "Noi europei...".
Certo, noi europei, in questo pezzo di globo relativamente piccolo, siamo un popolo con molte cose in comune. E poco tempo fa, una giovane gentile signora toscana, vedendomi in difficoltà nel fare le scale, mi ha offerto il braccio dicendo: "Si lasci aiutare, ovvia, siamo esseri umani!"
Ecco queste stille di buonsenso popolare hanno parecchio da insegnare nella loro lampante semplicità.
martedì 13 marzo 2012
Tu da che parte stai?
Vi ricordate lo spettacolo di Celentano RockPolitik , dove il cantante divideva il mondo in rock e lento?
Con tutta l'ammirazione che ho per Celentano, mio idolo dei 20 anni, penso che fare politica non è il suo forte.
Molto meglio quando canta. Non perché non rispetti le sue idee, ma perché detesto i cantanti che fanno predicozzi politici, così come detesto i politici che cantano...se poi come alcune nostre vecchie conoscenze del passato governo fanno tutte e due le cose....allora son dolori.
Comunque, quella teoria del dividere il mondo (politico e non) in due settori ben precisi, è una cosa che assolutamente non condivido. Invece ogni piè sospinto mi trovo a dovere incasellare una cosa come destrorsa o sinistrorsa, della serie: l'universo è destrogiro o levogiro?
Ci sarebbe da cominciare un lungo discorso su cos'è la politica e cosa sono la destra e la sinistra, non mi ci addentro. Dirò solo che ogni parte o partito politico ha un suo programma e degli ideali a cui ispirarsi (o almeno così dovrebbe). E la nostra appartenenza dovrebbe tenere conto di questi punti programmatici dei partiti. Oggi invece noto nella gente una confusione totale.
Forse non solo oggi, anche ieri era così, ora però, proprio a causa di una certa perdita dei valori delle parti politiche, la tendenza a miscelare privato e pubblico, idee e ideali, gusti personali e idee politiche, si è molto dilatata.
Se ieri (intendo ai tempi della mia gioventù) era di sinistra andare in giro coi capelli lunghi e l'eschimo, almeno però non si aveva la pretesa di riconoscere la fazione di una persona dal tipo di risotto che preferisce, o schedarla se consulta Wikipedia oppure ha la cattiva abitudine di piratare su internet.
Un po' esagerato, ma ci stiamo quasi arrivando. Avendo io alcune idee "progressiste" ad esempio su OGM, staminali, nucleare e viabilità, sono spesso tacciata di essere fascista, o peggio "leghista" perfino dal mio coniuge. Ma scusate tanto, perché l'essere di sinistra deve sempre e solo abbinarsi all'oscurantismo retrivo anti-progresso?
Oppure c'è qualche motivo serio che impedisca ad uno di destra di essere favorevole alla medicina alternativa, partecipare al Gay Pride o fumarsi una canna?
So che nel programma dei partiti di sinistra c'è un impegno contro l'energia nucleare. So pure che gli ambientalisti costituiscono una linea politica tendente più a sinistra. Tuttavia mi rifiuto di assorbire un'idea politica in blocco, senza un minimo di criticità, mandando all'ammasso il mio cervello.
Bisogna superare la "mistica" del "sinistra" è tutto ciò che è "verde" e naturale, come l'omeopatia o il parto in casa. La scienza non ha colore politico. Ci sono esperimenti, statistiche, prove, studi, e pubblicazioni, che mi informano e mi rendono conto di ciò che è avanzato, dimostrabile, attendibile. Su questo mi potrò fare un 'idea, e sarà mia, personale e apolitica.
Poi l'uso che si farà delle tecnologie scaturite dalla scienza potrà essere influenzato dalle ragioni ideologiche o economiche o sociali di una o dell'altra parte politica e su questo ci si potrà schierare.
Ma per favore non confondiamo l'acqua santa col vin santo!
Con tutta l'ammirazione che ho per Celentano, mio idolo dei 20 anni, penso che fare politica non è il suo forte.
Molto meglio quando canta. Non perché non rispetti le sue idee, ma perché detesto i cantanti che fanno predicozzi politici, così come detesto i politici che cantano...se poi come alcune nostre vecchie conoscenze del passato governo fanno tutte e due le cose....allora son dolori.
Comunque, quella teoria del dividere il mondo (politico e non) in due settori ben precisi, è una cosa che assolutamente non condivido. Invece ogni piè sospinto mi trovo a dovere incasellare una cosa come destrorsa o sinistrorsa, della serie: l'universo è destrogiro o levogiro?
Ci sarebbe da cominciare un lungo discorso su cos'è la politica e cosa sono la destra e la sinistra, non mi ci addentro. Dirò solo che ogni parte o partito politico ha un suo programma e degli ideali a cui ispirarsi (o almeno così dovrebbe). E la nostra appartenenza dovrebbe tenere conto di questi punti programmatici dei partiti. Oggi invece noto nella gente una confusione totale.
Forse non solo oggi, anche ieri era così, ora però, proprio a causa di una certa perdita dei valori delle parti politiche, la tendenza a miscelare privato e pubblico, idee e ideali, gusti personali e idee politiche, si è molto dilatata.
Se ieri (intendo ai tempi della mia gioventù) era di sinistra andare in giro coi capelli lunghi e l'eschimo, almeno però non si aveva la pretesa di riconoscere la fazione di una persona dal tipo di risotto che preferisce, o schedarla se consulta Wikipedia oppure ha la cattiva abitudine di piratare su internet.
Un po' esagerato, ma ci stiamo quasi arrivando. Avendo io alcune idee "progressiste" ad esempio su OGM, staminali, nucleare e viabilità, sono spesso tacciata di essere fascista, o peggio "leghista" perfino dal mio coniuge. Ma scusate tanto, perché l'essere di sinistra deve sempre e solo abbinarsi all'oscurantismo retrivo anti-progresso?
Oppure c'è qualche motivo serio che impedisca ad uno di destra di essere favorevole alla medicina alternativa, partecipare al Gay Pride o fumarsi una canna?
So che nel programma dei partiti di sinistra c'è un impegno contro l'energia nucleare. So pure che gli ambientalisti costituiscono una linea politica tendente più a sinistra. Tuttavia mi rifiuto di assorbire un'idea politica in blocco, senza un minimo di criticità, mandando all'ammasso il mio cervello.
Bisogna superare la "mistica" del "sinistra" è tutto ciò che è "verde" e naturale, come l'omeopatia o il parto in casa. La scienza non ha colore politico. Ci sono esperimenti, statistiche, prove, studi, e pubblicazioni, che mi informano e mi rendono conto di ciò che è avanzato, dimostrabile, attendibile. Su questo mi potrò fare un 'idea, e sarà mia, personale e apolitica.
Poi l'uso che si farà delle tecnologie scaturite dalla scienza potrà essere influenzato dalle ragioni ideologiche o economiche o sociali di una o dell'altra parte politica e su questo ci si potrà schierare.
Ma per favore non confondiamo l'acqua santa col vin santo!
domenica 26 febbraio 2012
C'è del marcio in quel lento-soccorso.
Prendo spunto dalle immagini viste in TV del pronto soccorso al San Camillo di Roma. Roba degna di Guantanamo. Carcere duro con torture. Pazienti in attesa per giorni sulle barelle nei corridoi, tutti col pannolone, per evitare sovraccarico di assistenza e incidenti, privacy zero, dignità sotto i tacchi. Sono persone, e tra l'altro nemmeno colpevoli di alcunché per meritare queste punizioni.
"Foto false" sentenzia il direttore generale dell'ospedale. Sarà, ma io che purtroppo ho avuto l'esperienza di un buon numero di visite al pronto soccorso della mia città, tra l'altro privilegiata dal punto di vista sanitario, so che le attese anche di 7-8 ore, quando si sta male, sono già una tortura di per se.
Le cause di questo disservizio, che ha l'apice nella sanità della capitale sono molteplici. Cattivo utilizzo di un reparto che dovrebbe essere solo di emergenza, mancanza di interventi e filtri da parte dei medici di base, cattiva e in certi casi pessima organizzazione del reparto. Altro che "ER"!!
A volte gli operatori sono vittime essi stessi di tutte queste carenze. A volte esasperati o ricoperti dalla dura scorza che viene a chi deve avere a che fare ogni giorno con sofferenze e miserie, diventano aguzzini.
Mi chiedo perché un paese civile debba ridursi così. E' troppo facile demagogia dire che basterebbe rinunciare a qualche piccola spesa militare per finanziare meglio questo cruciale settore?
Io che nella sanità ho lavorato, vorrei raccontare un aneddoto significativo. Ad un convegno di aggiornamento per laboratoristi, categoria di cui facevo parte, un mio collega laziale, mi chiese quanto facevo pagare un certo tipo di analisi. Risposi che non sapevo, che dal mio ente veniva applicata la tariffa regionale prevista per quel tipo di indagine. "Non hai capito-replica lui- intendevo quanto lo fai pagare in regime privato"
Rispondo che io non lavoro "in privato", sono dipendente pubblica, e lavorare privatamente non è compatibile. "Ah no?" Meravigliato il mio interlocutore, mi riferisce che ufficialmente nemmeno lui potrebbe lavorare in privato, ma lo fa', fuori e dentro la struttura sanitaria dalla quale è già pagato a tempo pieno. Tanto chi vuoi che se ne accorga?
Basta allungare un po' le liste di attesa per quel tipo di esame, se un paziente ha fretta allora paghi, e avrà risposte a tempo di record.
Ecco qui un altra cancrena, di cui non si da bene quale sia la putrida estensione, da risanare della mala-sanità.
"Foto false" sentenzia il direttore generale dell'ospedale. Sarà, ma io che purtroppo ho avuto l'esperienza di un buon numero di visite al pronto soccorso della mia città, tra l'altro privilegiata dal punto di vista sanitario, so che le attese anche di 7-8 ore, quando si sta male, sono già una tortura di per se.
Le cause di questo disservizio, che ha l'apice nella sanità della capitale sono molteplici. Cattivo utilizzo di un reparto che dovrebbe essere solo di emergenza, mancanza di interventi e filtri da parte dei medici di base, cattiva e in certi casi pessima organizzazione del reparto. Altro che "ER"!!
A volte gli operatori sono vittime essi stessi di tutte queste carenze. A volte esasperati o ricoperti dalla dura scorza che viene a chi deve avere a che fare ogni giorno con sofferenze e miserie, diventano aguzzini.
Mi chiedo perché un paese civile debba ridursi così. E' troppo facile demagogia dire che basterebbe rinunciare a qualche piccola spesa militare per finanziare meglio questo cruciale settore?
Io che nella sanità ho lavorato, vorrei raccontare un aneddoto significativo. Ad un convegno di aggiornamento per laboratoristi, categoria di cui facevo parte, un mio collega laziale, mi chiese quanto facevo pagare un certo tipo di analisi. Risposi che non sapevo, che dal mio ente veniva applicata la tariffa regionale prevista per quel tipo di indagine. "Non hai capito-replica lui- intendevo quanto lo fai pagare in regime privato"
Rispondo che io non lavoro "in privato", sono dipendente pubblica, e lavorare privatamente non è compatibile. "Ah no?" Meravigliato il mio interlocutore, mi riferisce che ufficialmente nemmeno lui potrebbe lavorare in privato, ma lo fa', fuori e dentro la struttura sanitaria dalla quale è già pagato a tempo pieno. Tanto chi vuoi che se ne accorga?
Basta allungare un po' le liste di attesa per quel tipo di esame, se un paziente ha fretta allora paghi, e avrà risposte a tempo di record.
Ecco qui un altra cancrena, di cui non si da bene quale sia la putrida estensione, da risanare della mala-sanità.
giovedì 26 gennaio 2012
Mea culpa?
Guardo sempre la trasmissione di Augias su RAI3, una delle poche rubriche di qualità rimaste alla RAI dopo le falcidie berlusconiane. Pur essendo sempre puntuale e preciso nelle sue sue critiche al (passato?) governo, Augias è stato risparmiato, non so perché, forse in virtù dei suoi modi garbati e signorili, o perché in fascia oraria particolare (12,30-13), magari non seguita dall'ex premier e suoi scagnozzi.
Non sto a raccontare della trasmissione in sé, se potete guardatela, oppure rivedetela in altro orario su RAI-replay.
Ciò di cui vado a parlare è la riflessione a cui mi ha indotto la visione di questo programma. Quasi sempre sono presenti in studio degli studenti delle superiori accompagnati da un loro insegnante, provenienti di volta in volta da città diverse. Si tratta quindi di ragazzi dai15 ai 19 anni circa. Nel corso di ogni puntata viene intervistato un personaggio, politico, di cultura o di spicco, prendendo si solito spunto dal libro che tale personaggio ha scritto, e che da l'argomento del giorno. I ragazzi presenti sono invitati a intervenire con domande all'autore. Quasi sempre almeno 3 studenti intervengono nell'ambito della trasmissione. Proprio sulla base di questi interventi mi sono convinta che i giovani d'oggi siano molto più maturi e consapevoli dell'attualità, di quanto non fossi io, o mio marito (che ha confermato) o di quei miei compagni di liceo all'epoca, in base ai miei ricordi. Le domande fatte dai ragazzi sono spesso pertinenti, ben formulate, vanno al cuore del problema, denotano una certa maturità. Come mai? Sicuramente oggi i "media" in generale, e internet in particolare, informano meglio la gioventù. Poi anche la denigrata scuola c'entra, magari sono ben "imboccati" dai loro professori. Non ho modo di sentirne il polso in prima persona, ma forse non è poi così male come la si dipinge.
La mia generazione usciva da un periodo disastroso e da una guerra scellerata e probabilmente i nostri genitori volevano solo dimenticare e ci hanno tenuto il più possibile lontani dalla cosa pubblica. Errore comprensibile ma non perdonabile. Mi rendo conto di quanto a 18 anni io fossi inconsapevole dei grandi avvenimenti mondiali che mi circondavano. Subito dopo, è vero, è esploso il '68, a prova che anche allora c'erano giovani consapevoli e impegnati anche a lottare. E anche alcune bambocce come me hanno cominciato a guardare con occhi diversi la realtà. La stragrande maggioranza del mio entourage, ha cominciato a risvegliarsi pigramente dopo la maggiore età (che al tempo era stabilita a 21 anni!).
Forse sarà colpa di questa mia generazione se manca una coscienza civica, se consideriamo lo stato qualcosa di astratto "fuori" da noi, se il qualunquismo si erge a partito o bandiera (vedi Grillo).
Mi auguro che quei giovani che intervengono da Augias non siano un'eccezione. Mi auguro che i giovani indignati e quelli che manifestano nelle piazze abbiano la capacità di indignarsi davvero, di ritrovare un senso di partecipazione e solidarietà, una ragione per aderire a dei principi etici, e formarsi cosi un futuro migliore.
Non sto a raccontare della trasmissione in sé, se potete guardatela, oppure rivedetela in altro orario su RAI-replay.
Ciò di cui vado a parlare è la riflessione a cui mi ha indotto la visione di questo programma. Quasi sempre sono presenti in studio degli studenti delle superiori accompagnati da un loro insegnante, provenienti di volta in volta da città diverse. Si tratta quindi di ragazzi dai15 ai 19 anni circa. Nel corso di ogni puntata viene intervistato un personaggio, politico, di cultura o di spicco, prendendo si solito spunto dal libro che tale personaggio ha scritto, e che da l'argomento del giorno. I ragazzi presenti sono invitati a intervenire con domande all'autore. Quasi sempre almeno 3 studenti intervengono nell'ambito della trasmissione. Proprio sulla base di questi interventi mi sono convinta che i giovani d'oggi siano molto più maturi e consapevoli dell'attualità, di quanto non fossi io, o mio marito (che ha confermato) o di quei miei compagni di liceo all'epoca, in base ai miei ricordi. Le domande fatte dai ragazzi sono spesso pertinenti, ben formulate, vanno al cuore del problema, denotano una certa maturità. Come mai? Sicuramente oggi i "media" in generale, e internet in particolare, informano meglio la gioventù. Poi anche la denigrata scuola c'entra, magari sono ben "imboccati" dai loro professori. Non ho modo di sentirne il polso in prima persona, ma forse non è poi così male come la si dipinge.
La mia generazione usciva da un periodo disastroso e da una guerra scellerata e probabilmente i nostri genitori volevano solo dimenticare e ci hanno tenuto il più possibile lontani dalla cosa pubblica. Errore comprensibile ma non perdonabile. Mi rendo conto di quanto a 18 anni io fossi inconsapevole dei grandi avvenimenti mondiali che mi circondavano. Subito dopo, è vero, è esploso il '68, a prova che anche allora c'erano giovani consapevoli e impegnati anche a lottare. E anche alcune bambocce come me hanno cominciato a guardare con occhi diversi la realtà. La stragrande maggioranza del mio entourage, ha cominciato a risvegliarsi pigramente dopo la maggiore età (che al tempo era stabilita a 21 anni!).
Forse sarà colpa di questa mia generazione se manca una coscienza civica, se consideriamo lo stato qualcosa di astratto "fuori" da noi, se il qualunquismo si erge a partito o bandiera (vedi Grillo).
Mi auguro che quei giovani che intervengono da Augias non siano un'eccezione. Mi auguro che i giovani indignati e quelli che manifestano nelle piazze abbiano la capacità di indignarsi davvero, di ritrovare un senso di partecipazione e solidarietà, una ragione per aderire a dei principi etici, e formarsi cosi un futuro migliore.
mercoledì 18 gennaio 2012
Due o tre cose che non amo di lui (Facebook).
Mi scappa proprio di dirle quali sono quelle cose che mi irritano di più di questo popolare social network.
Anzi, via, siamo corretti, cominciamo con gli aspetti positivi.
Fantastico potersi collegare, senza spese aggiuntive, con gli amici sparsi in tutto il mondo, a qualsiasi ora del giorno e della notte, scambiarsi foto e notizie, ritrovare vecchi compagni di scuola o parenti emigrati dall'altra parte del globo.
Bellissimo avere una porta aperta sul mondo e sulla socialità, anche quando per ragioni varie si può uscire poco.
Ineguagliabile la possibilità di distrarsi dai momenti di solitudine e malinconia, magari condividendo un sentimento con qualche amico che non si può avere a portata di mano. C'è il telefono, vero, ma spesso la persona che cerchiamo non è raggiungibile, oppure temiamo di disturbarla.
Invece tramite FB si vede chi c'è online, chi è disposto a chattare.
Ad esempio mi è capitato una notte a tarda ora (oltre mezzanotte) di ricevere lo sfogo di una "amica" di gioco, non conosciuta personalmente, ma affine per idee e cultura a me, e di fare un po' la parte del telefono amico.
Per me è stato gratificante darle la possibilità di parlare dei suoi problemi e spero che questo per lei abbia rappresentato un sollievo.
Ed ora invece il resto, quel che detesto.
Detesto soprattutto le foto dei bambini sofferenti, malati, o Down, non per loro ovviamente, ma per l'uso che se ne fa. Sotto la foto del bambino sofferente, c'è la scritta: Condividi sulla tua bacheca, se hai un cuore, oppure se hai il coraggio, ovvero se sei una persona perbene.
Ma che significa? Non certo un modo di sensibilizzare, le strategie per sensibilizzare l'opinione pubblica sui problemi e sulle necessità dei bambini con problemi di salute o diversità sono altre.
Ad esempio se ci fosse l'invito a partecipare ad un seminario che illustri come affrontare i problemi di questo tipo. Oppure una raccolta fondi. Oppure un'offerta per far parte di associazioni e volontariato per aiuti concreti. Ma così?? L'utente posta la foto, e la frasetta, per fare vedere ai suoi amici che è una persona "buona", si mette la coscienza a posto e passa subito a fare gli affari propri. Poi magari la sera in pizzeria , se vede un bambino Down lo evita. E se un amico ha il figlio in ospedale evita anche lui.
Poi ci sono le false notizie, di solito allarmistiche sul virus che gira in rete, o sulla possibilità che qualche hacker si impadronisca del tuo profilo per pubblicare sua tua bacheca foto hard.
Dilagano inoltre le foto di teneri cuccioli, gattini, bimbi paffuti, angioletti e putti, corredati da frasi fatte, motti e sentenze moraleggianti ed educative tipo: L'amicizia è il bene più prezioso, Non fare ad altri quello che non vuoi sia fatto a te, Un gesto di solidarietà è un dono ineguagliabile, etc etc.
Oppure si vedono tramonti struggenti, albe improbabili, fatine e fanciulle virginee, giovani coppie intente in casti baci e languide carezze, con frasi apparentemente tratte dal manuale del perfetto corteggiatore sfigato: Ti amo perché non posso averti! Non so strapparti dal cuore! Ti ho perdonato, ma non posso dimenticarti...(anche se ce la metto tutta!)
Che dire? Mi viene da chiedermi chi siano quei geni che creano questi album di figurine romantiche e sdolcinate. Non so se lo facciano per puro diletto o ci guadagnino qualcosa, spero per loro che l'ultima ipotesi sia quella vera.
Non mi scandalizzo se qualcuno vuole proprio mettere su FB gli affari suoi (amorosi o no), ma almeno lo faccia con parole sue. La tristezza mi deriva oltre che da questi copia-incolla privi di fantasia, anche dal constatare la pochezza linguistica dilagante, gli errori di ortografia e il frequente ricorso alle crasi giovanilistiche "nn, lol, u, ke, x " direttamente trasferite dal cellulare.
Neanche mi rileggerò, so già di avere fatto la parte della vecchia bisbetica, acida e brontolona, e non so se mi approverei.
martedì 3 gennaio 2012
Auspici anno nuovo.
Non sono una fanatica del capodanno. E' una ricorrenza che mi immalinconisce, mi ricorda che un altro anno se n'è andato, e mai più ritornerà. Tanto più ora che la senilità incombe.
Ma quest'anno contrariamente al solito mi sento ottimista. Sono decisamente fuori dal coro. Leggo anch'io i giornali, e le raffiche di tasse, aumenti, rincari e sacrifici non propendono all'ottimismo.Ma come insegnano i corsi e ricorsi storici, quando si tocca il fondo, si può solo risalire.
E secondo me, la risalita, estenuante e faticosa, è già ricominciata.
So già cosa mi direbbero molti: lo "spread" è ancora alto, pagano sempre gli stessi, non c'è stata nessuna equità, le misure per la crescita non si vedono. Coloro che imputano tutto ciò a Monti, dimenticano che dietro di lui c'è ancora lo stesso governo di prima. C'è uno che sotto sotto si oppone ad ogni iniziativa più equa (leggi patrimoniale, o accordi con la svizzera per far pagare chi detiene là ricchezze), e poi a gran voce, sui giornali, brontola contro queste tasse inique, che lui non avrebbe mai proposto. E spera così di riacquistare popolarità per le prossime elezioni.
Gli italiani gli crederanno ancora? Basterebbe pensare agli scandali, la corruzione, l'incapacità e l'arroganza dimostrata in questi ultimi anni da certi personaggi che ci hanno governato, per dire un NO grande come una casa. Purtroppo però, secondo il pensiero, espresso già nel 1967, dallo scienziato Adriano Buzzati Traversi, che ho recentemente riletto nel libro "Il biologo furioso" di C. A. Redi, gli italiani non sono intelligenti. Se l'intelligenza viene definita: " la capacità di analizzare e comprendere i fatti e gli eventi della nostra quotidiana esperienza e di trarre da tale comprensione le norme per il nostro comportamento singolo e collettivo..." allora non lo siamo proprio, ed a noi mal si addice pure il vecchio adagio : Errare humanum est, perseverare diabolicum.
Ripeto però che voglio essere ottimista e fare miei gli auspici di Napolitano: l'Italia può farcela, e molto dipende da noi.
Ma per carità non auguriamoci "Forza Italia"!
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