sabato 28 giugno 2008

Ecolalie e riflessioni su babele.


Leggo solo ora un interessante articolo sull'espresso della settimana scorsa, un colloquio con lo scrittore canadese Heller-Roazen autore del libro "Ecolalie", una riflessione sulla mitica babele, e sulle lingue dimenticate. E mi rincuoro, perchè quello che confusamente, con le mie argomentazioni ignoranti, cerco di far capire sull'inutilità del resuscitare i dialetti e riparlare lingue obliate, è dottamente e filosoficamente esposto in questo libro. L'autore, teorico del linguaggio, professore di letterature comparate, e conoscitore di parecchie lingue parlate e non, afferma in sintesi che la lingua è un idioma che si fa Stato, non esistono principi linguistici per definire una lingua come tale, lo può fare solo il politico. Dalla qual cosa si evince che un buon proposito di tutela di una lingua originale, come l'occitano, o il FRIULANO, diventa una sterile rivendicazione di identità, tanto più anacronistica, in quanto vuol ricreare uno stato nello stato, e resuscitare una valenza culturale che si è perduta.
Citando le parole di Heller-Roazen nell'intervista, che a sua volta cita Paul Celan, poeta di madre lingua tedesca,voglio sottolineare l'assurdità di un bilinguismo forzato (come nei cartelli stradali): "Poeticamente il bilinguismo non esiste, è una strumentalizzazione politica, serve a reclamare una differenza o un'appartenenza, il poeta invece sa che la sua lingua precede l'esistenza, l'identità e perfino l'IO. E' la lingua madre che ti sceglie, non tu che scegli lei."
Perciò viva la poesia in friulano di Pasolini e abbasso i cartelli stradali tradotti in friulano.

5 commenti:

Unknown ha detto...

Mi commento da sola: BRAVA!! E'proprio così, i cartelli sono una cosa assurda e l'ultima "chicca" in tema, è rappresentata da alcuni cartelli visti l'altro ieri sulla statale Chiusaforte-Sella Nevea che "traducevano" in friulano i nomi in originale (carnici?) dei paesetti: CHIOUT CALI, PEZZEIT, TAMAROZ. Non mi ricordo la traduzione...e peccato che non mi ero portata la macchina fotografica.

Anonimo ha detto...

Una tale ostilità contro il friulano non l'avevo ancora mai trovata da nessuna parte... tra l'altro non leggo in questi post neanche motivazioni serie che la giustifichino... è comunque interessante leggere anche quello che la libertà di pensiero detta ad ognuno di noi, sempre con rispetto, giusto?

Unknown ha detto...

Cara Lunacandida, penso che tu non abbia letto con attenzione il mio post, altrimenti non faresti tale commento.Innanzitutto non sono ostile al friulano, l'ho gia detto, apprezzo le poesie di Pasolini in friulano e la cultura friulana, marchigiana, piemontese, dialettale in genere. Se di ostilità si può parlare è verso l'USO che si fa, demagogico e particolaristico di un idioma per campanilismo locale. Ovviamente vivendo qui in friuli, vedo e conosco la realtà del friulano, e non posso parlare di analoghi problemi che riguardano il sardo o l'occitano. Sulle motivazioni poco serie, mi pare che se non sono serie ragioni politiche sociali ed economiche, allora non saprei dove pescare. Ti consiglio di leggere il libro citato nel post. Se poi intendi che non sono stata abbastanza convincente, allora te lo dici da sola: c'è libertà di pensiero no? E c'è anche tutto un mondo fuori dal friuli!!

Anonimo ha detto...

Ciao,
vorrei aggiungere il mio commento.
Un dialetto o una lingua non sono soltanto idiomi senza senso. In linguistica è molto conosciuto il detto che "La lingua è un dialetto con le armi".
Partendo da ciò, è chiaro il fatto che una lingua assurge a lingua in seguito a una scelta politica.
Ma prima che questa scelta avvenga svariati "diletti-lingue" vengono parlati da altrettante svariate comunità e questi idiomi non servono soltanto per riferire quanto sta intorno, ma sono con le i loro parlanti in rapporto di reciproco scambio.
Perdere l'uso di un dialetto-lingua significa anche perdere una parte di conoscenza culturale dei parlanti quel dialetto-lingua.
Il fatto che un segno stradale appaia in due lingue è un segno di grande civiltà e di profonda riflessione culturale, non è affatto strumentale ad un campanilismo esasperato (a meno che non ne venga strumentalizzato l'uso!).I nomi dei luoghi e delle cose in genere, quando nella loro formulazione linguistica originale, ci dicono molto di più del loro corrispettivo standardizzato (italianizzato, nel nostro caso) e questo tipo di approccio è fondamentale per capire la società nel suo insieme.
Certamente la vita va avanti, la società cambia e non si può pensare di ritornare al passato, ma conoscere da dove si proviene è un'immensa ricchezza, un valore aggiunto, senza pensare al tipo di intelligenze che crea e che alimenta: delle intelligenze attive, che formulano collegamenti tra le cose, che pensano in maniera critica al mondo in cui si trovano a essere.
Per tutte queste ragioni, io credo che l'incoraggiamento al bilinguismo sia un segno di progresso.
Grazie per l'attenzione e a presto.

Unknown ha detto...

Debbo per forza replicare, anche se le mie argomentazioni, non sono considerate "serie"..e qui già ci sarebbe da polemizzare su cosa si può considerare più serio, se trovare una unità almeno linguistica per questa povera Italia calpesta e derisa, o ripescare tra le trine delle nonne le proprie radici dialettali, magari per fomentare le differenze tra nord e sud e centro.
E' ovvio che i dialetti non sono idiomi senza senso, anzi sono l'espressione più vera e reale di una comunità. In quell'idioma chi vive in un determinato territorio, insegna le prime parole al figlio e da le ultime parole di conforto al genitore morente. Però si da il caso che qui in italia si sia sempre più diffusa una unica lingua parlata comune a tutti, ed anzi tale lingua, a me che ho superato 60 anni, appare già ben diversa da quella che mi hanno insegnato a scuola, sempre più infarcita di termini anglofoni e tecnici,(ad esempio blog...come tradurlo?) e sempre meno aderente alle regole grammaticali rigide degli anni 50. Che fare allora? ognuno deve cercare le proprie radici culturali nel dialetto di nascita, oppure nell'italiano degli anni 30-40, o meglio nel latino, che invece è stato tanto osteggiato a scuola come lingua morta inutile? Per me poi non avendo nessun dialetto "base" in cui ritrovarmi, nata in piemonte, da madre toscana e padre marchigiano, residente a Trieste, vicina alla slovenia, con marito friulano, a cosa mi devo riferire per ritrovare questa mitizzata e tanto sbandierata identità? Francamente non so, e quando vado in Olanda a trovare mia figlia e sento parlare quella loro lingua difficile e incomprensibile, mi rammarico di non avere speso abbastanza tempo per imparare altre lingue europee vive, invece del greco e latino.
Se proprio devo dirla tutta non mi sento neppure abbarbicata al mio caro italiano pur tanto amato e trasmessomi così bene dalla mia mamma toscana. Se un domani parleremo tutti in inglese, evviva! Non per questo rinnegherò Dante, anzi continuerò a leggerlo e apprezzarlo più di Shakespeare, e non mi sentirò defraudata se non verranno apposti i cartelli bilingui italo-inglesi.
Ultima nota: anch'io penso che l'incoraggiamento al bi tri o pluri-linguismo sia una cosa buona, ma per le lingue VIVE e parlate e che servono alla comunicazione, non per richiudersi negli idiomi in via di estinzione. Quel che conta è chiedersi "chi sono, da dove vengo, dove vado?", ma la risposta non è nel cartello stradale tradotto dall'italiano in un più o meno ricostruito dialetto locale.