Perché piace, ed aggiungo, mi piace?
La ragione è che un po' tutti noi siamo attratti da ciò ci fa' orrore, e se da un lato evitiamo la realtà orripilante, da un altro ne cerchiamo la finzione scaramantica. Sulle orme dell'effetto catartico della tragedia greca.
Ne è prova anche il successo dei serial televisivi CSI e simili.
Per quanto mi riguarda debbo dire che il primo libro letto "Post Mortem" è stato un colpo di fulmine. Soprattutto per la veridicità delle tecniche scientifiche. Anzi direi che proprio questo mi ha affascinato. Ovviamente nella lettura cerchiamo sempre un'empatia, e mi è piaciuto ritrovare la descrizione di lavoro laboratoristico, anche se di natura medico legale un po' diversa da quella che mi è familiare. Un eroina che traffica con microscopio e provette non poteva rimanermi indifferente! Inoltre la scrittura fluisce veloce, le situazioni ad alta tensione tengono sul filo, e si diventa ansiosi di voltare pagina per scoprire cosa viene dopo. Cosa che a volte per me diventa problematica, leggo talmente veloce, da "perdere" interi paragrafi...e poi devo ritornare indietro per capire.
In questo primo romanzo (1990) si incontrano personaggi che poi diventeranno protagonisti fissi nei successivi. La nipotina di Kay Scarpetta, Lucy Farinelli, una bambina decenne introversa, problematica, con un eccezionale talento per i computer, e un feeling con la zia, che aiuterà nelle indagini proprio grazie alla sua capacità informatica.
Poi c'è l'agente Pete Marino, un investigatore del tipo "classico" cioè panciuto, calvo, di mezz'età, molto sagace e capace nel suo mestiere. Cito testualmente: "Andava verso i cinquanta, con un viso su cui la vita aveva infierito e lunghe ciocche di capelli grigi con la scriminatura bassa da una parte e il riporto dall'altra. Alto più di un metro e ottanta, aveva il ventre sporgente di chi da decine d'anni beve bourbon e birra." Insisto sull'età del poliziotto, perché in seguito dovrò fare alcune osservazioni a proposito. Per quanto riguarda il profilo psicologico di Marino l'autrice si esprime così: "..era un uomo difficile da capire e non ero mai riuscita a decidere se era un buon giocatore di poker o se era semplicemente tardo...un osso duro con cui comunicare era assolutamente impossibile." Altro personaggio che si intravede nel primo romanzo è tale Benton Wesley, psichiatra criminale o meglio definito "profiler psicologico" dell' FBI, sposato...ma innamorato della Scarpetta tant'è che divorzierà, e inizierà una relazione con Kay, che dopo alti e bassi, libro dopo libro, porterà al loro matrimonio.
La saga dura in effetti più di 20 anni, dato che l'ultimissimo libro "Port mortuary" sta uscendo in questi giorni. Alla faccia! I miserabili di V. Hugo, possono andare a nascondersi...
Dato che sul web, l'ho scoperto solo dopo la mia decisione di occuparmene (sigh), i siti, i blog, i forum dei fans della Scarpetta si sprecano...non la farò lunga sulle trame, che potrete approfondire qui, mi limiterò a fare qualche considerazione generica, nonchè qualche bonaria critica da profana.
Quello che noto dagli albori, man mano che procedo nei romanzi successivi, è una certa discontinuità nello stile. Ad esempio, il primo romanzo è scritto in prima persona, e così pure i seguenti, fino a "Callifora" del 2003, dove per la prima volta e poi per sempre se non erro (non sono sicurissima) Kay diventa personaggio e non più "Io narrante". Questa non è l'unica differenza nella modalità di scrittura, anche se certamente la traduzione incide notevolmente nello stile, tuttavia ho la sensazione, proprio in "Callifora" e poi ne "La Traccia" che i paragrafi diventino più brevi e concitati, che la narrazione si snodi in modo meno scorrevole, continuamente interrotta con episodi secondari e irrilevanti rispetto alla spina dorsale del romanzo. Si ha la sensazione che i "blocchi" siano stati scritti al computer e poi assemblati, cosa non necessariamente negativa, se eseguita con maestria, anzi, ma nel caso in questione danno un effetto piuttosto sciatto. Anche il "finale" che in questo genere di romanzo ha una sua importanza, a volte è spiattellato fin dalle prime righe, a volte invece, sembra raffazzonato all'ultimo minuto, e invece di dipanare il bandolo degli indizi disseminati e dei misteri accumulati, rimane sospeso..in un buio quasi incomprensibile. Magari solo per me, che mi sono persa qualche pezzo per strada.
Sappiamo che i "sequel" cioè i secondi, terzi, ennesimi episodi di film spesso sono di qualità inferiore primo. Nei romanzi, la cosa dovrebbe o potrebbe essere diversa, anche se purtroppo spesso prolifico coincide con "fare cassetta" e quindi far uscire alla velocità della luce scritti che potrebbero benissimo giacere in fondo ai cassetti a prendere polvere, senza che la letteratura ne soffra. Ci sono esempi illustri che negano quanto ho appena affermato, Simenon con i suoi molti "Maigret" è sempre un eccellente e ineffabile scrittore, e per rimanere sul "giallo" anche il nostro Camilleri con Montalbano non scherza.
Proprio dall'impietoso confronto con questi due balza agli occhi quello che secondo me è il peggiore difetto di Patricia Cornwell. Rimane una scrittrice gradevole, ma nel tempo perde di "stile" nell'ansia di scrivere troppo, e per stile intendo quella nota caratteristica, come l'aroma inconfondibile di un buon Barolo, che lo fa riconoscere anche a un non intenditore, come il "leitmotiv" di una musica che targa inequivocabilmente l'autore.
Sarà questa la ragione per cui, a parte il primo romanzo, dopo averne letti altri a decine, pur avendone tratto li per li diletto, appena rimessi nello scaffale, mi sono subito dimenticata trama, narrazione, finale e "succo"..se c'era.
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