domenica 9 maggio 2010

Tutta colpa di Calvino? (parte II°)

Un fortuito e fortunato caso ha voluto che proprio in questi giorni io abbia riallacciato rapporti con una mia compagna di liceo, che abita in altra città, e che dopo una vita dedita all'insegnamento di storia e filosofia, ora per diletto si sta dottorando in studi di filosofia avanzata a Torino.
Quale altro più gustoso cacio (argomento di conversazione) su maccheroni (relazione tra calvinismo e capitalismo olandese) potevo trovare?
Abbiamo avuto uno scambio di e-mail e una interessante lunga telefonata, nonchè il consiglio di leggere alcuni ponderosi tomi, cosa che mi guarderò bene dal fare.
La giusta obiezione che mi aspetto ora è: ma che vuole dimostrare questa, cioè io, l'ultima donnetta pensionata, dato che tomi e tomi son stati scritti sull'argomento e che su Wikipedia c'è già il sunto de li sunti. Invece proprio in quanto ultima pensionata di confine, voglio capire e riflettere.
Di riflettere mi punse vaghezza quando qualcuno, per giustificare un certo rigore nel lavoro e una moderazione quasi patologica nel cibo, degli olandesi, mi disse che la colpa era tutta del calvinismo.
Ma se sono parchi e puritani, come possono essere anche mercanti e ricchi, e anche generosi nel tollerare i diversi? Come si concilia un'etica che non concede il perdono, con una smaccata voglia di accumulare denaro, magari anche con i coffee shop e le vetrine a luci rosse?
Sembra un ossimoro, ma è così, almeno secondo uno dei tomi capisaldo di Max Weber: " L'etica protestante e lo spirito del capitalismo". In esso l'autore nota come le nazioni calviniste come i Paesi Bassi e l'Inghilterra, sono arrivate prime al capitalismo rispetto a quelle cattoliche come la Spagna, il Portogallo e l'Italia, guarda caso quelle che ora sono a rischio bancarotta al seguito della Grecia.
Alla base ci sarebbe proprio la forma mentis del luterano e poi del calvinista, secondo la cui dottrina l'uomo è predestinato al bene o al male. Se uno è predestinato al bene, già in questa vita gode dei favori dell'Onnipotente, che lo colmerà di benessere e ricchezza e mentre il cattolico, prega per ottenere qualcosa, il protestante ringrazia Dio per quello che ha già ottenuto.
Appunto in virtù di quanto è già stato scritto da fonti ben più autorevoli, non mi dilungo sui pro e contro di questa tesi, che è stata contraddetta o appoggiata negli anni seguenti.
Mi preme osservare invece come il concetto di "perdono" che è il cardine del cattolicesimo, cioè la dottrina che conosco di più (tutto è relativo), sia alla base di tanti costumi socio-politici del nostro paese. Questa storia della confessione e del peccato, manco fatto e già perdonato, forse sfocia in quell'etica un po' lassista e tanto di facciata, oserei dire ipocrita, così cara a noi.
Quando Berlusconi (prendo uno a caso, potrei dire il sig Rossi...) si genuflette davanti all'altare nell'atto di comunicarsi, poco importa che si sia da poco alzato da lettone di Putin con la escort di turno, o che abbia corrotto o che sia imputato e magari colpevole di tanti capi d'accusa (o complotti) che gli vengono attribuiti, l'importante è che "sia pentito".
Ma qual'è il metro per giudicare la sincerità di tale pentimento? Qui casca l'asino...non c'è modo di saperlo. Il pentimento è un fatto privatissimo, non intercettabile, solo Dio può vedere nell'anima del penitente, il sacerdote può solo assolvere, cosa che fa "quasi" sempre, basta promettere di non peccare più ed esserne convinti in quel preciso istante, se dopo un minuto si ripecca, ci si riconfessa, e amen.
Forse anche su questo è da ricercare la ragione della altrimenti ingiustificabile tolleranza della chiesa nei confronti della mafia e del delitti mafiosi.
Ben diverso invece l'atteggiamento della chiesa verso chi ostentatamente e senza possibilità di ravvedersi insiste su certe opinioni di principio, contrarie alla dottrina, vedi le posizioni intransigenti sull'inizio e fine vita.

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