giovedì 24 aprile 2008

Cuistion di lenghe 2° puntata


Ho parlato impropriamente di ostilità verso la lingua friulana, non si tratta di fatto di una ostilità nei confronti di un idioma, sarebbe assurdo, anzi devo dire che, come tutti i dialetti che si parlano in italia, mi piace ascoltarlo e ripetere qualche parola. Ormai nel mio lessico familiare "multiculturale"si usano indifferentemente parole come "scovazze", "ce rube", "lu portu", "a l'è drol", "o tu gli'ia brusciare anche in'naso". Ciò che contesto è l'imposizione della parlata friulana nelle scuole dell'obbligo come 2° lingua, o addirittura lingua madre. Nel '68 abbiamo lottato per abolire l'obbligo del latino dalla scuola media e dalla messa, ed ora in nome di un presunto ritrovamento di "radici" inseriamo il friulano, anche nella messa? Mi sembra una leggera forzatura...anche perchè non mi risulta che i preti dell'800 o dei primi del 900, dicessero la messa in friulano nemmeno nel più sperduto paesino della carnia. Anzi, a questo proposito, che dire del friulano "carnico" leggermente diverso da quello della bassa o quello di Cividale, quale si sceglie da insegnare a scuola? Si dirà "patatis" o "cartoufoulis"? E i cosidetti insegnanti di "marelenghe" come e dove verranno scelti? Quali credenziali bisognerà presentare per accedere a questa professione? Basterà una adeguata preparazione, un esame in friulano? Del tipo io ad esempio potrei essere assunta come insegnante o traduttrice simultanea di friulano, o no, dato che non sono di madre lingua? Da notare che gli insegnanti di francese tedesco o inglese (ahimè) nella scuola italiana non sono quasi mai di madre lingua. E' d'obbligo che qui faccia una precisazione: è cosa buona, giusta e veramente consigliabile conservare i dialetti, le proprie radici, folkloristiche e culturali, ma nelle sedi apposite, circoli , associazioni non a scopo di lucro, magari anche con finanziamenti statali. Magari anche nella scuola pubblica come "ora" sostitutiva di religione, o altra materia facoltativa. L'obbligo, mi sembra non solo inopportuno, ma addirittura discriminante, nei confronti di quei bambini di altra regione o stato. Magari un bimbo triestino è obbligato a impararae il friulano, ahh aha che grasse risate, e che sottile vendetta per il papà, scacciato dall'università coll'infamante "furlani go home"! Ed il bimbo bisiacco cosa studierà? Ecco è proprio questo che mi infastidisce, il campanilismo esasperato. Nell'epoca in cui si abbattono frontiere e dogane, si auspicano accoglienza e multiculturalità, diventa anacronistico un arroccarsi sulla presunta importanza di "parlare" e "insegnare" una lingua parlata da pochissime persone, in un fazzolettino di terra, in nome di un ritrovamento di origini e identità. Non è questa la strada per mantenere la propria individualità. Non approvo un appiattimento e una globalizzazione totale che ci porti tutti a parlare nello stesso modo, vestire e mangiare le stesse cose, sarebbe assolutamente sbagliato. Ma non vedo nell'imposizione del friulano parlato e scritto su documenti pubblici e nell'amministrazione locale, un mezzo di preservare origini e diversità culturale, anzi, vedo in questo una presuntuosa forma di isolamento culturale, e un rifiuto alla "biodiversità". Quando fra 50 o 100 anni in tutta europa si parlerà solo inglese e gli italiani faticheranno a preservare la loro identità linguistica, un patetico manipolo di persone parlerà solo fra di loro uno strano idoma fatto di "is" e "aat" e non capirà quello che si dice nel resto del mondo. Si è vero, sto esagerando, ma sembra che si voglia proprio questo con la politica del friulano sbandierato e predicato. Quello che vorrei far capire e trasmettere è che aiuta molto di più nella diffusione e conservazione di una lingua (o di un modo di cucinare cibi), un bel libro come quelli di Camilleri, leggendo i quali uno impara alcune frasi in siciliano, si invoglia ad assaggiare gli arancini e magari a visitare la sicilia, guardandola con occhio diverso dal quello prevenuto del settentrionale che la considera abitata solo da mafiosi. Quindi si a Lupo Alberto in friulano, ben vengano commedie e teatro in vernacolo, sagre e fiere di sapore locale, ma per carità aboliamo quegli assurdi cartelli bilingui di indicazioni stradali! (cfr questo forum). Mi brucia che si facciano degli inutili cartelli bilingui coi soldi pubblici, mentre qui a Padrice non ci sono nemmeno i nomi delle vie. Le indicazioni del paese, servono agli "stranieri", uno di Sarvignan sa di essere a casa sua, mentre se io lombarda cerco Aiello potrei trovarmi interdetta difronte all'indicazione "Daèl". "Robb de matt! che paìs l'è quella roba lì? suma minga ad aiello? " E se proprio vogliamo ritrovare le radici e spendere i soldi del comune in targhe con i toponimi "culturali" allora scriviamoci "Agellum" cioè "piccolo campo" il nome latino da cui deriva Ajellum=Aiello che con Daèl, non c'entra proprio niente.

10 commenti:

Ermes ha detto...

ma quindi nel '68 avete combattuto per l'abolizione del latino alle medie e nelle messe???

maledetti friulo-vercello-sessantott-triestini

cmq sia, nei 178 comuni friulani (cioe` dove e` presente una minoranza friulana) le singole scuole possono decidere DOPO AVER CONSULTATO I GENITORI di istituire il friulano come lingua veicolare, ovvero come lingua con cui si tengono le lezioni e gli esami.

Ottimo per il curriculum soprattutto.

(maledette associazioni di genitori, specie se friulo-vercello-sessantott-triestine)

Tra l'altro il figame e` che Monfalcone si ritrova ad essere considerato (unico in Bisiacaria) "comune friulano".
Eh eh eh

Unknown ha detto...

VEICOLARE??? Ma è peggio di quel che pensavo!!! fammi capire: i temi si fanno in friulano e alla fine del corso scolastico magari uno non sa nemmeno la differenza tra "ha" con l'acca o senza. Non parliamo di "squola" o "soccuadro" Già mi sembrava inconcepibile che una persona laureata (che giuro ho conosciuto) scrivesse l'ARADIO per dire "la radio", e non era una svista...

Ermes ha detto...

pensa che c'e` gente laureata in fisica (e con quasi un PhD) che ho conosciuto io che non riesce a distinguere la "e" chiusa della "e" aperta.

E questa ne aveva addirittura due di "e" nel suo nome!

Anonimo ha detto...

L'insegnamento del fiulano a scuola non è obbligatorio, e le altre materie vengono insegnate in italiano, quindi trovo che parlare di temi in friulano sia fuori luogo, e usare la parola "imposizione" è assolutamente esagerato! tra l'altro l'insegnamento del friulano è una decisione presa dai singoli comuni in base alle persone che lo richiedono, quindi non c'è pericolo che un bimbo triestino debba impararlo...
Se questo non serve, a tuo parere, a conservare radici, cultura e tradizioni, vorrei che tu mi potessi indicare qualche altro metodo per arrivare allo stesso scopo...
Leggendo il tuo post, tra l'altro, mi è venuto davvero spontaneo pensare alle scuole del Trentino-Alto Adige dove è obbligatorio, e sottolineo obbligatorio, l'insegnamento del tedesco e del ladino alla pari, se non addirittura in modo maggiore, rispetto all'italiano. Per quanto riguarda il concetto di globalizzazione, trovo che questo fenomeno non implichi assolutamente l'annullamento di tutto quello di cui hai parlato nel post, solo per doversi uniformare a qualcos'altro...
Scusa per questo commento davvero prolisso, ma questo è un argomento che mi tocca e mi interessa particolarmente e sono aperta a uno scambio di vedute... :)
ci saranno altre puntate? :)

Unknown ha detto...

Cara LunaCandida, il bilinguismo nelle zone di confine è una questione molto diversa rispetto al friulano, si tratta in quel caso di tutela della popolazione di origine "germanofona" o francofona" o "slovena". Chi parla il friulano impara contestualmente anche l'italiano, e quindi secondo me non è "strettamente necessario" impiegare risorse (anche finanziarie) per un bilinguismo solo di maniera (e molto demagogico) ma non utile a fini pratici. Per preservare la tradizione di lingua minoritaria, come ho detto, sarebbe meglio rivolgersi al piano strettamente culturale (giornali, libri spettacolo, etc) e non coinvolgere amministrazioni pubbliche e scuola pubblica. Sono opinioni mie, che ovviamente restano tali, ma a mio modo di vedere i problemi italiani sono esacerbati e non risolti da forme di "divisione" come questa.

Unknown ha detto...

Caro Ermes , non ti dolere per le "é" e "è", le tue sono tutte e due APERTE! (poi si scrivono uguali)

Eleonora ha detto...

La definizione di Friulano come "lingua" è un cane che si mangia la coda. Infatti secondo la definizione di J. K. Chambers, Peter Trudgill - 1998 - Language Arts & Disciplines , "A language is a collection of mutually intelligible dialects". Quindi una lingua è una lingua se "contiene" differenti dialetti che sono comprensibili l'un l'altro. Ovviamente, questa parlata deve però essere parlata. E qui viene il trick. Il friulano è tale per cui ogni paesino lo parla diversamente, sebbene riescano tutti a comunicare tra loro. Per cui è effettivamente una serie di dialetti intelleggibili tra loro. Ma non è mai parlato lui stesso.... Perché qual è il vero friulano? (si ok, san daniele, ma qualcosa che viene parlato da più di 15 persone...?)

Anonimo ha detto...

Esiste una grafia ufficiale del friulano, basta leggere il libro "La grafia friulana normalizzata" di Xavier Lamuela, del 1987 e poi la presenza di parlate e dialetti differenti all'interno di una lingua è un fenomeno che appartiene ad ogni lingua del mondo, italiano, inglese, francese...non dimentichiamolo!

Eleonora ha detto...

Qui noto un po' di confusione... il fatto che una lingua abbia dialetti non è una nota negativa. Io mi rifervio tutt'al più al fenomeno opposto. L'Italiano è una delle lingue al mondo con il maggior numero di dialetti e, almeno in relazione al territorio italiano (ma io mi riferirei analogamente anche a uello spagnolo) la differenza tra lingua minoritaria e dialetto è basata su considerazioni socio-politiche piuttosto che su reali criteri linguistici. Infatti, a parte la "parlata toscana" e una ristrtta parlata del Lazio nei dintorni di Roma, tutti gli altri dialetti italiani non sono variazioni della lingua italiana, ma un sistema completo di comunicazione verbale (orale ma non necessariamente scritto, sebbene in quasi tutti i dialetti italiani vi siano oopere scritte) con un proprio vocabolario o grammatica, al pari di una lingua. Di conseguenza che vi sia una grafia friulana è certamente auspicabile, ma non dà nessuna priorità rispetto ad altri dialetti, che hanno anch'essi la propria grafia, grammatica e sintassi.

Unknown ha detto...

Lascio una chiosa di chiusura (allitterazione!) su questo argomento, che, sono molto contenta, è stato ampiamente discusso. Sono d'accordo con te Ele che la distinzione tra lingua e dialetto è socio-politica e non filologica, infatti per quante ricerche abbia fatto non ho trovato niente che sancisca in modo chiaro una regola per distinguere dialetto da lingua. Il fatto che un dialetto abbia sfumature diverse di pronuncia e grafia è la norma, nelle zone a cavallo tra le regioni vi sono "fusioni" di due o anche tre dialetti diversi. E quindi vi immaginate se tutti si impuntassero sulle scritte bilingui? I cartelli diventerebbero dei papiri lunghissimi di molteplici nomi da dare alla stessa città. Insomma la chiusura è: teniamoci la nostra parlata italica che ci accomuna e che tutti sappiamo, valorizziamola ed "educhiamo" ad impararla bene anche chi la "mina" con i barbarismi ora in voga per scrivere più velocemente: perkè, cmque, ed altri neologismi da telefonino. I dialetti sono ricordi da tenere nel cassetto, ricordi anche cari e preziosi, ma proprio per questo, usiamoli con moderazione, come le tazzine di porcellana della nonna, non tiriamoli fuori per il caffè di tutti i giorni, potrebbero anche rompersi