
Ho parlato impropriamente di ostilità verso la lingua friulana, non si tratta di fatto di una ostilità nei confronti di un idioma, sarebbe assurdo, anzi devo dire che, come tutti i dialetti che si parlano in italia, mi piace ascoltarlo e ripetere qualche parola. Ormai nel mio lessico familiare "multiculturale"si usano indifferentemente parole come "scovazze", "ce rube", "lu portu", "a l'è drol", "o tu gli'ia brusciare anche in'naso". Ciò che contesto è l'imposizione della parlata friulana nelle scuole dell'obbligo come 2° lingua, o addirittura lingua madre. Nel '68 abbiamo lottato per abolire l'obbligo del latino dalla scuola media e dalla messa, ed ora in nome di un presunto ritrovamento di "radici" inseriamo il friulano, anche nella messa? Mi sembra una leggera forzatura...anche perchè non mi risulta che i preti dell'800 o dei primi del 900, dicessero la messa in friulano nemmeno nel più sperduto paesino della carnia. Anzi, a questo proposito, che dire del friulano "carnico" leggermente diverso da quello della bassa o quello di Cividale, quale si sceglie da insegnare a scuola? Si dirà "patatis" o "cartoufoulis"? E i cosidetti insegnanti di "marelenghe" come e dove verranno scelti? Quali credenziali bisognerà presentare per accedere a questa professione? Basterà una adeguata preparazione, un esame in friulano? Del tipo io ad esempio potrei essere assunta come insegnante o traduttrice simultanea di friulano, o no, dato che non sono di madre lingua? Da notare che gli insegnanti di francese tedesco o inglese (ahimè) nella scuola italiana non sono quasi mai di madre lingua. E' d'obbligo che qui faccia una precisazione: è cosa buona, giusta e veramente consigliabile conservare i dialetti, le proprie radici, folkloristiche e culturali, ma nelle sedi apposite, circoli , associazioni non a scopo di lucro, magari anche con finanziamenti statali. Magari anche nella scuola pubblica come "ora" sostitutiva di religione, o altra materia facoltativa. L'obbligo, mi sembra non solo inopportuno, ma addirittura discriminante, nei confronti di quei bambini di altra regione o stato. Magari un bimbo triestino è obbligato a impararae il friulano, ahh aha che grasse risate, e che sottile vendetta per il papà, scacciato dall'università coll'infamante "furlani go home"! Ed il bimbo bisiacco cosa studierà? Ecco è proprio questo che mi infastidisce, il campanilismo esasperato. Nell'epoca in cui si abbattono frontiere e dogane, si auspicano accoglienza e multiculturalità, diventa anacronistico un arroccarsi sulla presunta importanza di "parlare" e "insegnare" una lingua parlata da pochissime persone, in un fazzolettino di terra, in nome di un ritrovamento di origini e identità. Non è questa la strada per mantenere la propria individualità. Non approvo un appiattimento e una globalizzazione totale che ci porti tutti a parlare nello stesso modo, vestire e mangiare le stesse cose, sarebbe assolutamente sbagliato. Ma non vedo nell'imposizione del friulano parlato e scritto su documenti pubblici e nell'amministrazione locale, un mezzo di preservare origini e diversità culturale, anzi, vedo in questo una presuntuosa forma di isolamento culturale, e un rifiuto alla "biodiversità". Quando fra 50 o 100 anni in tutta europa si parlerà solo inglese e gli italiani faticheranno a preservare la loro identità linguistica, un patetico manipolo di persone parlerà solo fra di loro uno strano idoma fatto di "is" e "aat" e non capirà quello che si dice nel resto del mondo. Si è vero, sto esagerando, ma sembra che si voglia proprio questo con la politica del friulano sbandierato e predicato. Quello che vorrei far capire e trasmettere è che aiuta molto di più nella diffusione e conservazione di una lingua (o di un modo di cucinare cibi), un bel libro come quelli di Camilleri, leggendo i quali uno impara alcune frasi in siciliano, si invoglia ad assaggiare gli arancini e magari a visitare la sicilia, guardandola con occhio diverso dal quello prevenuto del settentrionale che la considera abitata solo da mafiosi. Quindi si a Lupo Alberto in friulano, ben vengano commedie e teatro in vernacolo, sagre e fiere di sapore locale, ma per carità aboliamo quegli assurdi cartelli bilingui di indicazioni stradali! (cfr questo forum). Mi brucia che si facciano degli inutili cartelli bilingui coi soldi pubblici, mentre qui a Padrice non ci sono nemmeno i nomi delle vie. Le indicazioni del paese, servono agli "stranieri", uno di Sarvignan sa di essere a casa sua, mentre se io lombarda cerco Aiello potrei trovarmi interdetta difronte all'indicazione "Daèl". "Robb de matt! che paìs l'è quella roba lì? suma minga ad aiello? " E se proprio vogliamo ritrovare le radici e spendere i soldi del comune in targhe con i toponimi "culturali" allora scriviamoci "Agellum" cioè "piccolo campo" il nome latino da cui deriva Ajellum=Aiello che con Daèl, non c'entra proprio niente.